Il silenzio nel nulla
Alcuni giorni fa un mio caro amico
scultore mi ha fatto leggere un breve articolo del filosofo Emanuele Severino
riguardante l’ambiguità del nulla. Perché c’è qualcosa piuttosto del nulla? Il
nulla è la fonte dell’angoscia più profonda dell’uomo. Tuttavia abbiamo spesso
bisogno di una parte del nulla che molti riconoscono ad esempio nel silenzio.
Il silenzio sembra essere a un tempo il
limite e la caratteristica specifica delle arti figurative. Escluse dalla
soglia della parola e del suono, esse sono condannate all’insonorità, a una
certa “sordità”, direttamente proporzionale al loro coinvolgimento con la
materia. A questa convinzione si appoggia la celebre gerarchia delle arti
proposta da Schopenhauer. Nella tensione estetica, e non conoscitiva, di una
soggettività contemplante, “pura e scevra di volontà” rivolta alla possibilità
di cogliere le idee, la musica è posta da Schopenhauer al vertice di un
percorso ascendente alla cui base stanno le arti figurative. Il silenzio, cui
la pittura e le altre arti figurative sembrano indissolubilmente connesse, è
davvero un impoverimento espressivo tale da giustificarne la collocazione,
nella gerarchia schopenhaueriana delle arti, a un livello più basso rispetto
alla poesia e alla musica, come arti inferiori a quelle della parola scritta e del
suono?
Non stiamo in silenzio quando
contempliamo profondamente la natura, le persone che amiamo o un’opera d’arte?
Non necessitiamo del silenzio, del nulla sonoro, quando ci raccogliamo in noi
stessi nei momenti di dolore?
Negli anni ’70 alcuni artisti si trovarono,
all’apice della loro energia creativa, in una spaccatura tra le sponde del
concettualismo, al quale erano legati da un’intellettuale affinità elettiva, e
di quel tipo di pittura che si trovava a rimorchio della Pop Art, alla quale
erano accomunati dall’utilizzo degli stessi materiali. Nozioni come spazio-luce
o spazio-colore, se sanzionavano un progresso della sensibilità e della ricerca
artistica, in quel particolare momento non erano che irrigiditi teoremi, la cui
accettazione finiva inevitabilmente per denotare “una inadeguata coscienza
della crisi dell’arte”. Si tratta allora di estendere questa crisi, di
esasperarla, avendo coscienza della potenzialità creativa ma anche del vuoto.
Il colore si svela nell’evento del suo venire alla luce, visibile nella
leggerezza del primordio, ai confini del nulla. L’artista interroga il senso
nascosto delle cose, apre la mente verso ciò che sta dietro le apparizioni. La
luce dispensa significati fuggevoli, transitori, eppure persistenti. Il nulla è
presenza.
Allo stesso modo la lettura ci lascia silenziosi
con noi stessi. Corrado Augias scrive: “Noi siamo abituati a dare a parole come
‘silenzio’ e ‘solitudine’ un significato di malinconia, negativo. Nel caso della
lettura non è così, al contrario quel silenzio e quella solitudine segnano la
condizione orgogliosa dell'essere umano solo con i suoi pensieri, capace di
dimenticare per qualche ora ‘ogni affanno’".
Il silenzio, pur appartenendo al nulla, dà
conforto, allevia l’angoscia. Per ritrovare noi stessi. La visione del
silenzio, materializzata in un’opera d’arte figurativa o letteraria, ci lascia
in compagnia di noi stessi. Il corpo della luce, traccia mentale materializzata
dall’artista, è un’immagine che ha bisogno di un lungo tempo di osservazione
per rivelarsi. Gustave Courbet affermava che "se i quadri si potessero spiegare e
tradurli in parole, non ci sarebbe bisogno di dipingerli”.
In
questi mesi il rumore provocato dalla politica e dalle violenze sociali ci sta
assordando. Siamo giunti ad avere bisogno del silenzio, del nulla come nostra presenza. Cerchiamolo, viviamolo.
Comprendiamolo. Le arti possono donarcelo.
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